Per gentile concessione del suo autore, si riporta di seguito l’intervento che Emanuele Banfi ha svolto il 26 aprile all’Università di Roma Sapienza in occasione della presentazione del volume Tullio De Mauro. Un intellettuale italiano.
Roma, Università degli Studi ‘La Sapienza’ 26 aprile 2018
Presentazione del volume
Tullio De Mauro. Un intellettuale italiano, Roma, Sapienza Università Editrice, 2018
Emanuele Banfi
Intorno a un libro su Tullio De Mauro
Non molto tempo fa, a Milano, con Federico Albano Leoni, Paolo Ramat e Massimo Vedovelli, si è messa in moto un’impresa molto cara a Tullio De Mauro: la digitalizzazione, per la successiva pubblicazione sul sito‐web della Società di Linguistica Italiana, di tutti i materiali relativi alla vita della SLI, a partire dal momento della sua fondazione: quindi dalla metà degli anni ’60 del secolo scorso ad oggi. Moltissimi i documenti da passare allo scanner (per complessive circa 12.000 pagine…): si tratta di semplici, singole pagine dattiloscritte – come si usava un tempo –, talvolta accompagnate da appunti ‘a mano’ stilati da Tullio De Mauro; o di circolari, o di riassunti di relazioni e comunicazioni a Congressi e Convegni organizzati all’interno della Società; o di elenchi di socie e soci: o di bollettini e cose simili. Insomma, la vita, la ‘quotidianità’ di una vivace istituzione scientifica.
Ciò che ha colpito sia me che Federico Albano Leoni, Paolo Ramat e Massimo Vedovelli è stato il constatare come, sia nella fase aurorale della SLI (metà degli anni ’60) sia, via via, negli anni successivi, fino al 2016 (fino, cioè, al Congresso di Milano ove Tullio De Mauro ha tenuto la relazione di apertura: ed è stata, quella, la sua ultima partecipazione a un Congresso della ‘sua’ SLI), Tullio De Mauro ha avuto un ruolo enorme nella vita di un’istituzione da lui profondamente voluta, co‐fondata, nel lontano 1967, e da lui sempre seguita con costanti attenzione e affetto.
E, proprio mentre con i colleghi si stava lavorando al progetto‐digitalizzazione dei materiali‐SLI, mi è giunto l’invito di cari amici e colleghi romani a presentare, in questa sede prestigiosa e così legata alla vita professionale di Tullio De Mauro, il volume Tullio De Mauro. Un intellettuale italiano che, per la cura di Stefano Gensini, Maria Emanuela Piemontese e Giovanni Solimine, è recentemente apparso nella collana ‘Maestri della Sapienza’.
Va da sé che l’invito è stato, ed è, per me motivo di onore e insieme d’emozione e di rinnovato rimpianto determinato dal dolore che la morte di Tullio De Mauro ha procurato a tutti coloro che lo hanno conosciuto, apprezzato e che gli hanno voluto bene.
Tullio De Mauro ha regalato a tutti noi, ospiti dell’orto accademico, così come al mondo della cultura, della scienza, alla società civile e al Paese tutto doni preziosi della sua intelligenza, della sua generosità umana e intellettuale e dei suoi saperi: le sue opere, a tutti ben note rimarranno per sempre, quale tucidideo ktema eis aiei od oraziano monumentum aere perennius.
Ma Tullio De Mauro, oltre a frutti della sua scienza, ci ha anche regalato una serie di note autobiografiche confluite in preziosi volumetti editi da Bulzoni e dal Mulino. Note che sono, ciascuna singolarmente, veri e propri piccoli saggi di storia sociale e di costume tali che permettono di inquadrare fatti ed episodi particolari, propri della vita di Tullio De Mauro, entro coordinate più ampie: illustrano insomma, attraverso le sue testimonianze, come era l’Italia e come essa è divenuta, via via nel tempo, fino a questo presente certamente poco brillante.
Dalla lettura delle note autobiografiche di Tullio De Mauro escono il clima della sua famiglia, gli anni napoletani e poi romani, gli studi, in particolare quelli liceali al romano ‘Giulio Cesare’ e quelli universitari. In università, proprio alla Sapienza, egli fu studente di Lettere classiche: un classicista, in primo luogo; bene addentro alle cose del greco e del latino (scriveva un ottimo latino, ricco di fini arguzie); e poi indeuropeista e poi, infine, linguista generale… Ma non un linguista generale qualsiasi, bensì – e la precisazione è importante – un linguista generale ‘amico della filosofia’ come lo ha definito Federico Albano Leoni, suo allievo e amico carissimo, succedutogli alla cattedra della romana Sapienza.
Il volume che la sua università gli ha dedicato è un’enorme miniera di informazioni intorno all’esperienza umana, culturale e civile di Tullio De Mauro. E, per coloro che ancora non hanno avuto l’opportunità di averlo tra le mani, dirò brevemente quale ne è il contenuto.
Prefato da Eugenio Gaudio, Magnifico Rettore della Sapienza, e preceduto da una corposa nota biografica redatta dai curatori, il volume comprende ben 36 contributi articolati su cinque parti: la prima ‘Un intellettuale italiano’; la seconda ‘Lingua e linguaggi’ a sua volta divisa in due sottosezioni (‘Un pioniere della ricerca linguistica e ‘Teoria e filosofia delle lingue’), la terza ‘Lingua, Scuola e Istituzioni’ a sua volta ugualmente divisa in due sottosezioni (‘Educazione linguistica’ e ‘Usi pubblici dell’italiano’), la quarta ‘Lingua, cultura e letteratura’, la quinta, infine, ‘Testimonianze’ e poi una serie di fotografie che mostrano momenti salienti della vita di Tullio De Mauro: dalla giovinezza agli ultimi anni.
Ogni parte del volume ha evidentemente una propria autonomia tematica, ma in tutti i contributi ricorre un elemento che in un certo senso li ‘unifica’. Tale elemento, è ‐ a mio vedere ‐ l’intreccio costante tra tre dimensioni: quella umana, innanzi tutto, fatta di testimonianze di affetti forti, persistenti, duraturi; poi quella scientifica, professionale evocante i numerosi campi d’indagine che hanno resa grande la carriera di Tullio De Mauro e, infine, la dimensione civile. Ognuno dei tre elementi è inscindibile rispetto agli altri e ciascuno riflette ed evidenzia le tante, diverse sfaccettature della personalità di Tullio De Mauro.
Ripercorrendo, a grandi linee, i temi ricorrenti nel volume, dirò delle ‘passioni’ di un grande uomo: lo studio e la ricerca (l’impegno professionale, accademico), la scuola e l’ambito civile, inscindibili e reificate nell’esperienza della gestione del Ministero della Pubblica Istruzione nella breve stagione del governo Amato.
Passioni forti, tutte; e tutte, a loro volta, incentrate su un dato costante, ugualmente ricorrente: e cioè l’attenzione per le dinamiche linguistiche (micro‐linguistiche e macro‐ linguistiche), per il dato linguistico, per la lingua intesa quale ‘filtro’ atto a cogliere fatti storico‐sociali: la lingua non come semplice ‘sistema’ ma, piuttosto come ‘geosistema’, ossia come una complessa ‘realtà contraddittoria, oscillante negli usi’; non un sistema astratto, quindi, bensì un ‘raccordo geostorico, spazialmente e temporalmente variabile per ciascuna delle aree ove è usata’ (come nota Paolo Ramat). La lingua come regno della variazione e come riflesso della complessità di una società di parlanti.
Tullio De Mauro ci ha insegnato a ‘leggere’ l’Italia, a partire da Storia linguistica dell’Italia unita per arrivare a Storia linguistica dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni (‘la lingua … un espediente per comprendere l’Italia e gli Italiani’ come puntualizza Alberto Asor Rosa) in un dialogo costante, da vicino o da lontano, con straordinari interlocutori: da Antonino Pagliaro a Guido Calogero, da Pier Paolo Pasolini a don Milani, da Sebastiano Timpanaro a Gianni Rodari, da Alberto Asor Rosa ad Andrea Camilleri, da Emilio Garroni a Leonardo Sciascia, da Carlo Bernardini a molti editori, a partire da Vito Laterza.
Ci ha insegnato a considerare i dati linguistici nella loro essenziale ‘storicità’ con un atteggiamento euristico nel quale cadono, spesso e naturalmente, gli ‘steccati’ tra le discipline e gli ambiti culturali: nella non sempre pacifica ‘aiuola’ dei linguisti (l’aiuola che ci fa, ogni tanto e ridicolmente, “tanto feroci…,” per dirla con Dante); cadono, per Tullio De Mauro, le barriere tra glottologia, linguistica generale, filosofia del linguaggio, in primo luogo, ma anche, tra discipline diverse.
La contrapposizione tra culture non esiste, la cultura – ci ha insegnato Tullio De Mauro – è una, in un’accezione larga di tale nozione (come sottolineato da Francesco Erbani), abbracciante tutto l’ambito scientifico, circostanza plasticamente rappresentata dalla ‘lunga amicizia e feconda collaborazione con il grande fisico Carlo Bernardini’ (come ricorda Alberto Asor Rosa); e, anzi, ‘le scintille dell’acquisizione del nuovo’ si trovano più spesso ‘ai margini, sui confini, all’incrocio tra campi disciplinari’ (come nota Marina De Palo).
Quanto alla linguistica, nella Prima lezione sul linguaggio (Laterza 2002) e nella Introduzione all’edizione italiana di Scritti inediti di linguistica generale di Saussure (2005), Lia Formigari ha giustamente sottolineato il fatto che Tullio De Mauro condiziona la possibilità di una epistemologia della linguistica alla capacità di ‘integrarsi con varie e diverse scienze … dall’antropologia alla filologia, dalla psicologia alla storia e alla sociologia’ e, in un passo autobiografico tratto dal XIV volume di una Storia della filosofia curato da Dario Antiseri e Silvano Tagliagambe (edito da Bompiani), Tullio De Mauro spiega che per capire il linguaggio occorre fare riferimento, appunto, a saperi diversi: dalla statistica alle neuroscienze, dalla biologia evolutiva alle scienze demologiche e antropologiche, ma anche al diritto, e, ovviamente, agli studi sociologici e psicologici mediante l’integrazione di saperi scientificamente accertabili.
Centrale, nel pensiero demauriano – e il tema è ripreso in diversi contributi –, è la riflessione sul rapporto e sulle differenze che corrono tra linguaggio verbale e calcolo: da qui la messa in discussione delle posizioni teoriche chomskyane, del loro formalismo che prevede una semantica ‘algida’, scissa rispetto alla pragmatica e disinteressata sia al rapporto tra i segni e i loro utenti che al grande tema del ‘patteggiamento del senso’ (lo sottolinea Stefano Gensini): là ove la costituzione del significato lessicale non può essere colta se non vedendo quest’ultimo come imperniato appunto sulle ‘oscillazioni nell’uso’ e sulla ‘dialettica’ tra determinatezza ‘storica’ e indeterminatezza ‘potenziale e pragmatica’. L’indeterminatezza e la vaghezza semantica sono così le prove della impossibilità di ridurre il processo di comprensione a un modello lineare/calcolistico; e, anzi, esse sono piuttosto la conseguenza dell’onnipotenza semantica propria delle lingue storico‐naturali; condizione, questa, necessaria per il farsi del cambiamento linguistico.
Questi argomenti sono trattati – come è noto e magistralmente ‐ in molti lavori demauriani, di taglio tecnico, ed essi sono resi però accessibili a tutti in un libro mirabile per equilibro tra il rigore scientifico e l’efficacia divulgativa. Mi riferisco a Guida all’uso delle parole, uno dei primi ‘libri di base’, uno dei primi libri di una collana degli Editori Riuniti, richiamata in alcuni dei contributi presenti nel volume e definita da Alberto Asor Rosa come ‘espressione di un limpido orizzonte culturale e civile’.
Tullio De Mauro ci ha insegnato a ragionare sulla feconda nozione di ‘spazio linguistico’, a considerare come degne di attenzione scientifica tutte le manifestazioni del linguaggio e delle lingue storico‐naturali a partire dalla manifestazione prima di queste ultime, quella della oralità, del parlato, alla base dell’interazione comunicativa e – in termini di impegno civile – egli ha richiamato l’attenzione ai diritti del ricevente in merito al processo sotteso alla comprensione: la ricerca della chiarezza, anzi l’obbligo della chiarezza; il ‘farsi capire’ come dovere e la consapevolezza che la ‘chiarezza’ non è un dono ma una conquista, faticosa e necessaria alla vita di una società democratica.
Nel volume sono giustamente ricordate esperienze dettate e mosse da una volontà insieme politica e civile:
‐ il ‘Mensile di facile lettura’ (Dueparole) inserito in una rete di altre esperienze internazionali (in Norvegia, Danimarca, Austria, Grecia, Germania, Svezia, Finlandia, Lettonia, Olanda, Spagna, Israele… e persino in Giappone) e definito dal grande Giovanni Nencioni come “ … uno strenuo esercizio contestuale e ipercontestuale di ‘scrittura controllata’ … ispirata da un maestro di semantica teorica e pragmatica, che si è validamente battuto contro una linguistica attenta alla sola forma a favore di una linguistica biplanare in cui il significato fosse, più che un ‘conoscere’, un modo d’agire nel mondo. E cioè una ‘prassi. Concezione che discende da quella wittgensteiniana” (Giovanni Nencioni, Sic nos, non nobis, in Ai limiti del linguaggio, a cura di F. Albano Leoni, D. Gambarara, S. Gensini, F. Lo Piparo, R. Simone, Roma‐ Bari, Laterza, 1997, pp. 419‐427. La citazione è alle pp. 422‐423);
‐ il progetto di semplificazione del linguaggio istituzionale e amministrativo per ‘essere scientificamente (e non per mettersi filantropicamente) dalla parte del ricevente’ (come osserva Maria Emanuela Piemontese);
‐ l’attenzione per il linguaggio giuridico e, più in particolare, per la lingua delle ‘sentenze’ che deve essere ‘chiara’ e insieme deve rifiutare ‐ obiettivo irrinunciabile ‐ ogni banalizzazione e semplificazione di complesse questioni intrinseche alla sfera tecnico‐giuridica (come giustamente sostenuto da Patrizia Bellucci).
Su un terreno più prossimo alla quotidianità rientra in questa prospettiva, ove impegno scientifico e impegno politico‐civile trovano perfetta sintesi, la riscrittura, con Massimo Vedovelli, della bolletta dell’Enel.
Centrale è stata in Tullio De Mauro l’attenzione, direi l’amore per le parole: dominarne gli usi è da lui riconosciuto essere la chiave dell’eguaglianza secondo una linea di pensiero che va da Gramsci a don Milani, una linea che vede nel dettato della carta costituzionale un testo esemplare: la sua lingua parla ‘a tutte le coscienze’ proprio ‘come sanno fare le opere più alte della nostra letteratura’ (come è ricordato da Stefano Petrocchi).
Da qui l’impegno di Tullio De Mauro per la redazione di grandi imprese lessicografiche, tutte animate da una forte istanza civile: Giuseppe Di Vittorio ‐ ricordava Tullio De Mauro ‐ ‘uscì dalla prigione dell’analfabetismo’ grazie alla scoperta del vocabolario…; Di Vittorio, lettore di dizionari, così come i ragazzi della Scuola di Barbiana: loro, espressione viva dell’indifferenza e dell’ignoranza delle classi dirigenti politiche e financo intellettuali verso la scuola, a partire da Civiltà Cattolica che, nel 1868, attaccava Alessandro Manzoni e la sua proposta di scolarizzazione generalizzata (come è sottolineato da Francesco Erbani).
L’idea di fondare i princìpi per un’educazione linguistica democratica, confluiti nelle celebri ’10 Tesi del Giscel’, nascono da riflessioni demauriane su queste contraddizioni: e i princìpi delle tesi rappresentano un percorso ‘logico’ (lo richiamano Francesco De Renzo, Sabine Koesters Gensini, Cristina Lavinio) che muove da analisi già presenti in Storia linguistica dell’Italia unita e che sfociano, ‘logicamente’, appunto, in ciò che va oltre le 10 tesi: l’impegno per l’educazione degli adulti, per la formazione permanente, per la lotta contro l’analfabetismo di ritorno, per l’alfabetizzazione digitale, per la promozione di libri, letture, biblioteche, per la divulgazione scientifica e il diritto alla comprensione, in primo luogo, dei testi di legge e degli atti amministrativi.
Da qui l’impegno per la diffusione della lettura e per la parallela promozione delle biblioteche, pubbliche e scolastiche: la lettura come indicatore della qualità della vita dei cittadini; la lettura come antidoto alle cifre sconfortanti intorno agli ‘inattivi culturali’, così come emergono dall’Annuario statistico del 2016.
La lettura vista come veicolo di un’idea di cultura ampia, attenta non solo ai grandi classici della letteratura e della saggistica, nazionali e internazionali, ma, anche, alla letteratura per l’infanzia nel ricordo, per altro, di sue letture giovanili – evocate nella prefazione di Timpetill, la città senza genitori (1997) – a partire dal Signor Bonaventura e dal suo bassotto, creati nel 1917 da Sergio Tofano, per giungere all’incontro‐scontro tra parole, regola geniale della scrittura fantasiosamente poetica di Gianni Rodari; un’idea di cultura che deve fare i conti anche con le nuove tecnologie didattiche alla luce del fatto che, in ogni modo, ‘la tecnologia più importante è nella testa degli insegnanti’ … e che ‘la strumentazione tecnologica non sostituisce l’insegnante’ e che se, anzi, gli insegnanti non lavorano bene, le nuove tecnologie possono ‘peggiorare drammaticamente i risultati dell’insegnamento’.
Solo alla luce di queste circostanze si capisce il perché Tullio De Mauro ci ha regalato il Vocabolario di base, definito giustamente come ‘una impresa civile’ (come osserva giustamente Isabella Chiari): quelle 7000 parole che necessitano di una attenzione particolare nella vita quotidiana e nella formazione linguistica di bambini e adulti, italiani e stranieri; di tutti coloro che, insomma, in una visione inclusiva e accogliente, formano il quadro sociolinguistico del nostro Paese, oggi: un Paese ove le lingue degli immigrati costituiscono un potenziale, straordinario arricchimento dello spazio linguistico italiano: uno spazio in cui il plurilinguismo è ‘già’ inscritto nelle sue coordinate storiche, il plurilinguismo ‘paradigma della generale identità italiana’ (come ricorda Massimo Vedovelli).
E, su un piano di straordinario impegno accademico, condotto sfruttando le più aggiornate tecnologie offerte dal mercato editoriale, Tullio De Mauro ha dato alla comunità scientifica e al mondo civile la grande impresa del Gradit (Grande dizionario italiano dell’uso, in 8 volumi per i tipi della Utet), monumento della lessicografia dell’Italia contemporanea.
Ecco, è tutto. O quasi.
Molto ancora è evidentemente ‘depositato’ nelle pagine del volume che qui si presenta; anzi, sono sicuro che tutti coloro che lo leggeranno sapranno trovare spunti ulteriori rispetto a quelli che io ho messi cursoriamente in evidenza.
Chiudo richiamando osservazioni tratte dai contributi scritti da quattro personalità che hanno avuto con Tullio De Mauro un lungo, intenso sodalizio amicale e intellettuale.
Della inesauribile curiosità intellettuale e della grande affettività di Tullio De Mauro – ‘Non ti perdere! Continua a studiare’, gli disse – è testimone il sinologo Federico Masini il quale fu invitato, lui che era nella lontanissima Cina (allora… davvero molto lontana; siamo nei primi anni ’80 del trascorso secolo), a dirgli di come avveniva l’alfabetizzazione dei bambini cinesi.
E poi Sabino Cassese ricorda che Benedetto Croce, in una postilla sulla Critica (1921), notava come gli ‘estremismi’ – oggi diremmo ‘i populismi’ – dispregiavano e combattevano l’intellettualità come ‘opposizione della pratica contro la retorica’. E, proprio come allora, anche oggi ‘si disprezzano ‐ scrive Cassese ‐ le competenze, il sapere accumulato attraverso la rigida disciplina di anni di studio, l’esperienza fatta sul campo da menti capaci di passare con frutto nelle cose e nel commercio con gli uomini’. Questa osservazione, che invita tutti noi a tenere alta la guardia, Tullio De Mauro l’avrebbe senz’altro fatta sua.
E, poi, Walter Veltroni quando scrive, a conclusione del suo contributo, che ‘con la sua fatica Tullio ci ha voluto dire una cosa semplice e chiara. Ci ha voluto dire che quando parliamo del valore delle parole e della conoscenza, non stiamo parlando di linguistica, stiamo parlando di democrazia’.
Tullio De Mauro, infine, avrebbe senz’altro apprezzato ciò che ha di lui scritto Alberto Asor ricordando ‘la sua permanente disponibilità umana, la sua inesauribile capacità di affetto, il suo darsi senza risparmio e, al tempo stesso … il suo ricevere con piacere e gratitudine’.
Questo è stato Tullio De Mauro, e così, dalle pagine del volume edito dalla romana Sapienza ‐ grazie a chi lo ha conosciuto, apprezzato e molto da lui ha ricevuto in termini di crescita umana, scientifica, affettiva – emerge ed esce netta e precisa la bella, nobile personalità di un grande intellettuale, di un grande italiano.