Dal sito Giscel. https://giscel.it/anniversario-della-morte-di-tullio/
Sono tre anni che Tullio De Mauro non è più con noi: l’impressione però è che per lui il tempo si sia fermato. Tullio vince il tempo con quello che ha detto, con quello che ha scritto, con quello che è stato. Per questo continua a rimanere nel cuore e nelle menti di tutti.
Il testo, scritto da Valter Deon, rispecchia pensieri e sentimenti di tutti i componenti del GISCEL.
Un ricordo di Tullio De Mauro a tre anni dalla morte.
di Valter Deon
Il tempo che fugge. È in queste occasioni che ci si accorge di quanto veloce sia il tempo e di come, in questi anni, le sue accelerazioni si percepiscano inarrestabili. È in questi momenti che si sente – oggi più che ieri – quanto sia fragile la memoria e quanto importante e doveroso sia il tenerla viva; e anche, quanto incolmabili siano i vuoti che amici, maestri e persone che ci sono state vicine hanno lasciato. Sono tre anni che Tullio De Mauro non è più con noi: l’impressione però è che per lui il tempo si sia fermato e che con lui sia stato giusto, e giustamente generoso. Tre anni sono ieri. Il suo ricordo è più vivo che mai. Da subito lo hanno tenuto vivo quelli che non lo hanno amato: con le loro provocazioni hanno spinto le tante persone che ancora rispettano la verità della storia, e credono nell’onestà e nella bontà degli uomini, a sentire disagio e disgusto. Le hanno spinte a capire, a studiare, a impegnarsi per difendere e ristabilire principi con i quali non si può scherzare: alcuni principi esigono il massimo rispetto. La difesa della lingua. Ma più di ogni altra cosa sono stati gli eventi di questi ultimi anni a richiamare continuamente alla memoria la grande lezione di Tullio De Mauro, e a farlo sentire vicino. L’estate, ad esempio, ha ricordato a noi – italiani e uomini di scuola – quanta strada ci sia ancora da fare perché ci si possa sentire cittadini e insegnanti civili: lui allora ci ha spiegato che leggere e capire sono per chi studia e per chi lavora questioni più che mai aperte e irrisolte. Non gli mancavano gli argomenti per denunciare il problema che trattava in modo nuovo: lo faceva con i numeri richiamando situazioni concrete e familiari. Credo che pochi come lui abbiano avuto tanta familiarità con i numeri e tanta fiducia nella loro capacità comunicativa: tutti ricordano le sue tabelle e la sua dimestichezza con ogni linguaggio non verbale e con ogni tecnica innovativa; e ricordano a studiosi, a insegnanti e ad amici della lingua e della Costituzione la sua capacità di affrontare con leggerezza argomenti anche al di fuori del suo ambito. Oltre che coi numeri, affrontava il problema del leggere e del capire rappresentando momenti di vita quotidiana: se in una casa mancano libri – ricordava con dolorosa 2 ingenuità – è inutile pensare che le persone leggano e capiscano. Invitava perciò genitori e cittadini a prendere per le mani ‘il libro’, e a sporcarsele con i libri. Ci fanno ricordare Tullio De Mauro le dispute sulla lingua e i suoi usi, specie da parte dei politici. Mai lo si è sentito stracciarsi le vesti per il decadimento e l’imbarbarimento linguistico, né mai lo si è sentito inveire contro i guastatori con toni accesi e accenti moralistici. Non era nel suo stile e nel suo modo di essere. In queste occasioni invece era solito allargare le braccia con un po’ di mestizia e di rassegnazione, come a dire che ben conosceva l’animo umano; ma questo non gli impediva di continuare le sue battaglie. Difendeva la lingua studiandola, scrivendo, manifestando in ogni occasione il massimo rispetto per un bene prezioso che è di tutti. Con rigorosa insistenza si limitava a richiamare il dovere umano e civile di tutti e di ciascuno a fare altrettanto, con passione e puntualità. Lo faceva ogni volta che ne aveva l’occasione: a chi lo invitava, grande o piccolo che fosse, importante o meno, cercava sempre di rispondere di sì: sentiva l’impegno sul fronte – su ogni fronte – come imperativo morale ed etico. Con la sua presenza e la sua parola, oltre che con lo studio, difendeva la lingua e il suo portato. Riusciva ogni volta a meravigliare: aveva sempre novità da comunicare che venivano dai tanti luoghi del mondo in cui si studiano la lingua e le lingue. Chi parla alla scuola. Tullio De Mauro è vivo nella scuola, anche se manca alle scuole che frequentava abitualmente. Pensava che la scuola è il luogo privilegiato nel quale si comincia a conoscere e ad amare la lingua. E a fare i primi esercizi di democrazia. Pochi come lui si sono dati all’istituzione con uguale amore e convinzione. E conoscenza. Della scuola tutti si attribuiscono il diritto (e il dovere) di parlare; legittimamente, dal momento che tutti hanno avuto o hanno a che fare con la scuola: per averla frequentata innanzitutto, per avere figli studenti o mogli insegnanti, o amici e familiari vari con rapporti diretti o indiretti con l’istituzione. Ma la scuola è una cosa molto complicata, e scriverne con cognizione di causa e sicura competenza non è da tutti. Tullio De Mauro conosceva la trincea come pochi, non solo per essere stato buon ministro dell’istruzione, ma per voler sapere e intervenire; conosceva soprattutto l’animo degli insegnanti, sapeva delle loro fatiche, e non aveva ritegno a manifestare loro la sua stima e la sua ammirazione. Scriveva per dare atto alla scuola di essere stata protagonista dell’onorevole riscatto del paese dopo i disastri della guerra. Invitava politici e uomini di cultura a manifestare riconoscenza ai tanti sconosciuti eroi della scuola che avevano lavorato o continuavano a lavorare per le giovani generazioni. Agli insegnanti indicava le strade da percorrere, segnalava i 3 maestri da ascoltare, incoraggiava con entusiasmo le innovazioni di sostanza che facevano sperare. Alla scuola Tullio De Mauro ha dato, tra le tante, una consegna importante: quella di coltivare la parola e la sua storia. Per fare ciò ha lasciato strumenti importanti: non è necessario ricordare – tra gli altri – i suoi dizionari per la scuola, che non sono dizionari ridotti, ma strumenti pensati e dedicati a studenti diversi per età e capacità. Non c’è interesse più vivo nei bambini di quello per la parola: loro vogliono sapere di ognuna che cosa vuol dire, chiedono se una parola si può dire in altro modo, mettono in campo tanti perché sui mille segni che indicano qualcosa. A chi osservi, sono due i campi sui quali nascono più numerosi i perché dei bambini: quello della parola e quello della storia. Coltivare la curiosità per la parola e per la sua storia unisce due interessi che, se ben coltivati, possono portare davvero molto lontano. Tullio De Mauro sarebbe stato senza dubbio a Bologna un mese fa a incoraggiare i tanti insegnanti presenti, e a ribadire con parole nuove l’importanza di leggere, capire, e dare una mano per cambiare il mondo. Per la scuola era un punto di riferimento, un nome cui appoggiarsi: la scuola viva e proiettata in avanti ne ha sempre avuto bisogno, e ne ha bisogno più che mai oggi, tempo di silenzi, di compromessi, di promesse che non si realizzano. Non era un intellettuale ‘dichiarato’ e intervistato: ‘impegnato’ lo era nei fatti e nelle parole. I libri che parlano. Tullio De Mauro continua a parlare con i suoi libri, con quelli di ieri e con gli ultimi cui si è dedicato. Ha detto tutto quel che ha potuto dire, ma forse non tutto quello che ha detto è stato debitamente meditato: l’impressione è che tante delle sue carte abbiano ancora da parlare. Ne è prova, ed esempio, il volume dal titolo Il valore delle parole preceduto da un saggio di Stefano Gensini, pubblicato nell’aprile 2019 dalla casa editrice Treccani nella collana <>. Il testo era stato scritto per la voce Semantica ed era apparso in ‘Enciclopedia del Novecento’ nel 1982. Quasi quarant’anni separano il primo scritto dalla sua ripubblicazione: i tanti anni fanno capire la lunga vista del linguista e la capacità dello studioso di vedere anzitempo e con chiarezza le cose. Quella voce è ancora a distanza di tempo una ‘voce’ più che mai illuminante. Per noi un modo per fermare il tempo è quello di leggere e rileggere i suoi libri e scoprire le tante ricchezze ancora nascoste del suo pensiero. 4 La responsabilità della politica. Tullio De Mauro manca a chi si occupa di politica in senso alto. C’è da dire che sulla nostra Carta Costituzionale, per fortuna, gli scritti abbondano e consolano. Ma pochi come lui ne hanno scritto con tanta originalità. Il piccolo libro – livre de poche volendo, da portare sempre con sé – edito da UTET e stampato a cura della Fondazione Maria e Goffredo Bellonci in occasione del Premio speciale alla Costituzione della Repubblica dato appunto dalla Fondazione, è un libro prezioso: lo è in particolare per l’illuminante saggio introduttivo sulla lingua della Carta e sull’uso politico e culturale che della lingua hanno fatto i Padri Costituenti. Nel testo, Tullio De Mauro pone al centro della attenzione di lettori, di studiosi di dottrina dello Stato, di insegnanti e cittadini, il tema della lingua, non tanto per metterne in evidenza le peculiari caratteristiche, ma per mostrarne l’intreccio con la politica in senso forte, e per sottolinearne la potenza e la capacità di azione nel campo del governo della cosa pubblica. Già i Padri Costituenti avevano manifestato in ogni occasione il loro interesse e il loro rispetto per la lingua: avevano infatti piena consapevolezza della responsabilità che si assumevano nella scelta e nell’impiego di una parola in luogo di un’altra. Oltre naturalmente che nella costruzione lucida e sapiente di singole frasi o nella definizione della architettura del testo nel suo complesso. Su tutti questi aspetti Tullio De Mauro ha fermato la sua attenzione di linguista impegnato. Ma c’è qualcosa in più che mostra la profondità del suo pensiero. Il testo fa capire quale fosse il suo intendimento profondo nel pensare alla lingua e alle sue connessioni con le altre discipline e con ogni altra attività pubblica e istituzionale. In tempi recenti ai linguisti era stata mossa l’accusa di invadenza e pervasività rispetto alle altre discipline; ma è facile dire con leggerezza che la lingua abita ovunque e che quindi l’accusa ha fragili fondamenta. Nell’intenso saggio che fa da premessa al libro, la lingua è descritta (e la sua potenza argomentata) non tanto per esaltarne la ricchezza o celebrarne la centralità, quanto invece per richiamare l’attenzione sugli effetti che essa ha sull’impianto e lo sviluppo delle singole scienze; e, in particolare, per l’organizzarsi di tali discipline nel momento in cui si accingono a diventare lingua, pronte a comunicarsi. Lo spirito con cui Tullio De Mauro si è interessato ed è entrato in altri campi del sapere ha avuto questa finalità. La lingua non è vestito, ma sostanza con cui le diverse discipline si inverano. Questa la ragione per cui in tanti ambiti del sapere lo studioso è entrato non come ospite curioso, ma come analista e filosofo della lingua. 5 Con questo spirito Tullio De Mauro ha anche colto quella che è stata la prima preoccupazione dei Costituenti per l’impatto che la Carta avrebbe avuto su una popolazione che sul medio periodo non sarebbe riuscita a capire fino in fondo. Nel suo saggio di introduzione cerca i segni che confermano e illustrano la sensibilità dei Padri Costituenti su questo aspetto. Il problema per loro non era solo quello di mettere in grado di far leggere a tutti la Carta, ma di creare le condizioni perché anche chi avesse avuto gli elementari strumenti per leggere potesse essere aiutato a capire quanto la Costituzione innovava sul piano della vita pubblica e personale di ciascuno. Una preoccupazione sulla quale riflettere: nel caso della Carta, il problema non era semplicemente quello immediato e diretto: autore-lettore, ma quello mediato autore-lettore-facilitatore, mediato in sostanza da chi avrebbe potuto aiutare ad andare oltre la superficie del testo. Quello della ‘mediazione’ è in politica un tema fondamentale (ma non solo in politica): c’è chi aiuta mettendosi tra chi cerca lavoro e chi lo offre; c’è chi aiuta a capire chi ha difficoltà a capire. Tullio De Mauro ha ben colto questo aspetto della saggezza dei Costituenti: chi scrive – e i Padri Costituenti lo avevano ben compreso – non può pensare che il problema di chi legge sia la semplice leggibilità; deve pensare anche e soprattutto alla comprensione profonda di un testo. E preoccuparsi di chi tale comprensione può agevolare. Il problema quindi va oltre il singolo autore o la comunità degli scrittori, ma diventa questione di chi ha responsabilità pubbliche. Lui l’ha chiamata con una espressione calda ed efficace: ‘lettura assistita’ che è ben più di una lettura ‘accompagnata’; è una operazione alla quale come singoli e come collettività sono chiamati i cittadini di una Nazione degna di tal nome. Ciò implica per i governanti l’impegno a creare nel paese un clima diffuso di solidarietà e di impegno educativo e culturale. La lezione che i Costituenti avevano ben compreso passa alla politica per il tramite di Tullio De Mauro. È una lezione di etica e di civiltà che lo studioso si è impegnato a far arrivare a chi deve e può. Tullio De Mauro non si è mai impegnato in prima persona nella politica partitica, ma sempre si è dichiarato dalla parte di chi è svantaggiato, di chi non ha diritti, di chi non ha quel che richiede una vita attiva e partecipata. E, soprattutto, di chi studia e di chi si sforza di migliorare la realtà in cui opera. 6 Chi vince il tempo. Ma è proprio vero che il tempo inesorabile può essere solo generoso? Tullio De Mauro vince il tempo con quello che ha detto, con quello che ha scritto, con quello che è stato. Per questo continua a rimanere nel cuore e nelle menti di tutti, anche di quelli che lo hanno amato poco.